ALBANIA: ESSERE VOLONTARI DURANTE IL CORONAVIRUS
Di Sara Bonato. Berat, Albania, 17 novembre 2020. Se l’anno scorso, quando ho presentato la domanda per il Servizio Civile Universale, mi avessero detto cosa sarebbe accaduto di lì a pochi mesi, chissà se avrei preso la stessa decisione, chissà se avrei percorso le stesse strade che, invece, mese dopo mese, giorno dopo giorno, ho percorso, e che mi hanno portato qui dove mi trovo ora.
Com’è essere una volontaria di servizio civile ora, in questo momento storico? Onestamente ancora devo capirlo, nonostante siano passati quasi tre mesi da quando con gli altri volontari mi sono lasciata l’Italia alle spalle, in un aeroporto deserto e desolato. Se mi guardo dentro trovo un groviglio di sensazioni ed emozioni, una matassa di fili colorati ingarbugliati, dove i colori stessi diventano indistinguibili, dove è impossibile capire quale siano l’inizio e la fine.
La gratitudine è un filo rosa, so di essere una delle poche volontarie ad essere davvero riuscita a partire, vedendo concretizzati i propri progetti, seppur dopo una lunga attesa, costellata da momenti di sconforto e da nuove speranze. É percepire la vicinanza dei partner locali nei momenti di difficoltà e di spaesamento. É l’essere accolta e benvoluta senza riserve dai bambini, senza bisogno di dimostrare niente, senza bisogno di essere qualcuno: semplicemente perché sono lì, con loro.
La curiosità è un filo giallo: la mia voglia di conoscere la realtà in cui opero, i bambini a cui dedico giornalmente gran parte del mio tempo, le loro storie, le loro difficoltà ed i loro sogni. L’Albania è un paese così vicino, ma così distante: quando pensi di averci capito qualcosa, ti stupisce.
La rabbia è un filo rosso. E’ la rabbia di non poter vivere questa esperienza come vorrei, abbracciando i bambini senza che mi sfiori il pensiero che siano portatori del virus, senza distanziamento sociale né mascherine, lasciandomi sorprendere, attraverso il servizio ed il viaggio, dal Paese che mi ospita e dalla sua cultura. Talvolta fingo che non ci sia, perché mi sento in colpa nei confronti di chi la mia opportunità di partire non l’ha avuta. Ma il filo rosso rimane sempre lì.
La speranza è un filo verde, che il virus retroceda, con il passare del tempo, con l’arrivo della bella stagione, e che ci dia la possibilità di vivere quest’esperienza senza limitazioni e senza fiato sospeso. É il desiderio di poter organizzare con i piccoli alunni della scuola elementare la recita di fine anno scolastico, di poter fare i biscotti da mangiare insieme con i bimbi del doposcuola.
La paura è un filo nero, un filo sottile, intrecciato con i pensieri per la salute dei miei familiari ed amici, in Italia, e con il timore di non riuscire a tornare in tempo se dovesse succedere qualcosa. É il vivere con la consapevolezza che concludere questa esperienza non è da darsi per scontato.
La serenità e la gioia sono fili azzurri e arancio, sono fatti di attimi, momenti di condivisione con gli altri volontari, un tramonto sulla spiaggia deserta di Darzëzë, il disegno ricevuto in dono da un bambino per il quale mi sembrava di aver fatto poco o nulla. Sono le chiacchiere del più e del meno in italo albanese con la cassiera del supermarket, il macellaio, la signora dell’ortofrutta, che mi fanno sentire un po’ a casa.
Non sono ancora capace di descrivere come sia essere una volontaria di servizio civile in quest’anno così particolare: ci sono giorni in cui mi sembra di vivere in un sogno, ed altri in cui la realtà è estremamente vivida, opprimente nella sua pesantezza. Ma in un momento di sconforto, un bambino che ti corre incontro per abbracciarmi e chiamarmi a giocare allontana in un attimo le nuvole, ed i pensieri, li rimando a domani. E finisco sempre con il vivere il momento presente, con ciò che ha da offrirmi, senza domandarmi cosa accadrà poi, semplicemente imparando a stare con quelle che sono le mie sensazioni, piacevoli o spiacevoli che siano, ed a godere di ciò che può essere goduto. Non è forse il desiderio con cui sono partita?