TESTIMONI DI SERVIZIO CIVILE: LA STORIA DI ALICE
‘’Vivere e lottare nell’Amazzonia ferita’’, di Alice Cobro, Corpi Civili di Pace - Lago Agrio (Ecuador)
Lago Agrio. Sour Lake. Letteralmente, la traduzione dall’inglese – dal Texas all’Ecuador. Un posto nato da una cinquantina d’anni per l’esplorazione petrolifera della Texaco – oggi Chevron – che iniziò a setacciare l’area nordorientale del paese nel 1963, e che l’anno successivo perforò il primo pozzo petrolifero di tutta l’Amazzonia. Là dove oggi sorge il centro urbano di Nueva Loja – capitale del cantone di Lago Agrio, provincia di Sucumbíos.
La Texaco era un’importante azienda petrolifera americana, fondata nel 1901 con il nome di Texas Fuel Company e assorbita – esattamente un secolo dopo, nel 2001 –
dalla Chevron Corporation, una multinazionale che opera nel settore dell’energia, specializzata in petrolio e gas.
Questa impresa, dagli anni Sessanta agli anni Novanta, ha inquinato intenzionalmente la regione amazzonica dell’Ecuador con oltre sessanta miliardi di litri di acqua tossica e oltre seicento mila barili di petrolio sversati in natura, più di mille km di strade ricoperte di petrolio, milioni di metri cubi di gas bruciati, provocando il più grave disastro ambientale e sociale della storia.
Malgrado il potere economico, politico e mediatico di Texaco-Chevron, malgrado l’arbitrato internazionale e le pressioni della politica locale, i popoli amazzonici insieme a Udapt – Unión de Afectados y Afectadas por las Operaciones Petroleras de Texaco – resistono da oltre trent’anni. In tre decenni di lotta globale per la giustizia – sostenuta anche da numerose ONG internazionali – Udapt è riuscita a ottenere una sentenza giudiziaria in Ecuador contro la multinazionale, che dovrebbe risarcire danni pari a nove miliardi e mezzo di dollari all’Amazzonia ecuadoriana.
Tale sentenza — ratificata in tre istanze superiori — però, non è stata eseguita.
Io mi chiamo Alice, ho 27 anni, mi trovo qui da quasi quattro mesi e ci rimarrò altri sei.
Il motivo per il quale mi fermerò così a lungo in un posto così peculiare è proprio la battaglia di Udapt, con cui lavorerò fino a marzo dell’anno prossimo in qualità di comunicatrice, grazie a un progetto dei Corpi Civili di Pace.
Aldilà del mio volontariato, sono venuta qui a conoscere un pezzo di America Latina, un territorio di sabiduria ancestral che idealizzavo da anni.
Il problema di noi persone idealist3 è lo scontro con la realtà: la mia America Latina non corrisponde a quella letteraria e cinematografica del Realismo Magico. Sollevo
l’Ecuador, comunque, della responsabilità di rappresentare un continente così variegato.
Per via dell’escalation di violenza nel Paese duranti gli ultimi anni, e della storia oscura - come il petrolio nel sottosuolo - della cittadina in cui mi trovo, mi risulta piuttosto complesso l’adattamento a questa realtà, che mi sembra piena di insidie e paradossi.
Con i miei compagni e le mie compagne di avventura, abbiamo ironicamente ribattezzato Lago Agrio in L.A., sebbene le somiglianze con Los Angeles siano poche o nulle.
Il centro urbano è un gigantesco e caotico bazar a cielo aperto: non c’è un cinema né una libreria, non ci sono luoghi di aggregazione, ma solo innumerevoli negozietti tutti uguali (eredità costeña), in fila uno dopo l’altro, dove le commesse - quasi sempre donne -, rivolgendoti un “a la orden” (retaggio colonialista) mentre passi, ti invitano a entrare e a consumare il tuo tempo libero facendo acquisti e ossequi al sistema capitalista che, nel mondo ormai globalizzato, è riuscito a fare breccia anche
nel cuore verde del pianeta.
Da quando sono qua, ho dovuto riflettere a lungo e profondamente - nonché adottando una nuova prospettiva - su tutte le mie convinzioni politiche da europea
bianca, e non posso negare un’importante frustrazione al riguardo.
Per fortuna, in questo difficile adattamento, c’è una famiglia: non intendo quella (di
sangue o d’elezione) che mi aspetta a casa, ma il nuovo e accogliente hogar che
abbiamo creato in casa con l3 altr3 volontari3.
Meri, Sofi, Piyumi, Silvia e Davide sono le persone con cui sto condividendo la meravigliosa intimità della vita quotidiana in Amazzonia, con anche la consapevolezza che tutto quello che stiamo vivendo sarà difficile da raccontare al nostro ritorno; è proprio quello che succede quando transitiamo una fase significativa della nostra esistenza: solo chi la transita con noi potrà capire fino in fondo quello che abbiamo vissuto.
Non si comincia mai qualcosa di significativo a maggio: per i grandi inizi, di solito, c’è
l’anno solare e c’è l’anno accademico.
Eppure è andata così: in una primavera di maggio è cambiata la mia vita - temporalmente, direbbe qualcun*, ma per me niente è temporaneo, perché sono una determinista. Cosa vuol dire? Che anche se dovessi tornare alla mia vita di prima, non sarà mai identica a com’era prima che partissi.
E questo trovo che sia rincuorante. “Animum debes mutare, non caelum”, scriveva Seneca a Lucilio. Però un viaggio - o meglio un’esperienza - come questa, sicuramente aiuta a capire come mutare l’animum.
Sono molto grata per tutte le difficoltà che sto affrontando, perché mi ricordano che sono viva e che sono pure fortunata. E che dunque bisogna celebrare la vita, e tendere una mano - se si può - a chi ha meno fortuna di noi, per costruire un mondo più giusto.
L’Amazzonia non è un mito né un rifugio bucolico: è un luogo vivo, ferito e contraddittorio, che ti costringe a rivedere le tue certezze e a fare i conti con i tuoi limiti. Sicuramente non cambierò il corso della storia di questo posto, ma questo posto cambierà me: perché ogni passo, ogni incontro, ogni ostacolo lascia un segno, che rimarrà anche quando sarò altrove.
