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"CHUKUANA 2025": VERSO UNA COOPERAZIONE AUTENTICA E PARITARIA

Di: Enza Bia, Valeria Cecconi e Marco Ferri.

Si è tenuta il 30 ottobre la seconda edizione dell’incontro organizzato da  Comunità Solidali nel Mondo,  in collaborazione con Focsiv, una delle principali reti italiane di organizzazioni impegnate nella cooperazione internazionale e nel volontariato, e Aoi, Rete Nazionale delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale. Nella “Casa del I Municipio” di Roma, il workshop, dal titolo “Chukuana: decolonizzare davvero. Il futuro della cooperazione internazionale” ha portato al centro una profonda riflessione collettiva su come costruire relazioni di cooperazione più autentiche, paritarie e libere dai retaggi coloniali: la parola chukuana, che in swahili significa aiutarsi reciprocamente, è stata il fil rouge degli interventi.

Secondo Michelangelo Chiurcù, presidente di Comunità Solidali nel Mondo, l’evento si propone di fornire una visione alternativa per “non essere schiacciati sull’operatività” e per riflettere su un nuovo modello di cooperazione. In 18 anni di attività in Tanzania, l’organizzazione ha avviato tre centri di riabilitazione che assistono oltre 14.000 bambini, di cui più di 700 con epilessia, e ha formato oltre 500 medici in 18 regioni del Paese. Questi risultati sottolineano come la cooperazione possa essere concreta, sostenibile e inclusiva, ma richieda attenzione alle trasformazioni in corso e alla voce dei giovani africani, sempre più protagonisti e desiderosi di partecipazione.

L’iniziativa ha visto la partecipazione di numerose figure di rilievo del mondo accademico e della cooperazione, insieme a volontari del servizio civile e rappresentanti di associazioni impegnate sul campo. Tra gli interventi, quelli di G. Ruocco, professore dell’Università La Sapienza di Roma, Francesco Petrelli, portavoce di Oxfam, Mario Giro, professore dell’Università Stranieri di Perugia, già ex Vice Ministro degli Esteri, Giovanni Lattanzi, Presidente Aoi, Valentina De Cao, rappresentante paese COMSOL, e Ivana Borsotto, presidente Focsiv.

Ripensare la cooperazione nel nuovo (dis)ordine mondiale

Il contesto internazionale attuale non lascia spazio all’indifferenza. Con gli Stati Uniti che nel marzo 2025 hanno annunciato il taglio di 40 miliardi di dollari alla USAID, l’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale, la cooperazione vive un momento di forte contraddizione e crisi che rischia di trascinare altri donatori centrali, come i Paesi europei, in quella che Petrelli ha definito “una guerra contro i poveri e contro la povertà stessa”. Mentre l’Italia resta lontana dallo storico obiettivo dello 0,7% del PIL destinato alla cooperazione allo sviluppo, crescono gli investimenti nelle armi, risorse che, impiegate nei progetti di cooperazione, genererebbero valore non solo per i paesi del Sud globale, ma anche per l’economia internazionale e nazionale.

In questo contesto, la voce dei giovani è quella più attesa per generare nuove prospettive e abbandonare i vecchi schemi. Così, a chi vede nelle nuove generazioni una causa persa Giovanni Lattanzi risponde: “Non è vero che i giovani italiani non sono interessati alla giustizia globale ma noi non siamo ancora stati capaci di coinvolgerli pienamente. Dobbiamo costruire spazi dove possano essere protagonisti del cambiamento.” L’intervento di Lattanzi ha voluto in questo modo rilanciare la diplomazia popolare, un modello di cooperazione che parta dalle persone, dai movimenti civili e dai giovani; una proposta condivisa anche da Petrelli, che in merito aggiunge: “È tempo di riflettere sui nostri privilegi, creare reti con chi condivide un approccio di apertura e cambiare, o rischieremo di scomparire come attori credibili.”

Oltre la retorica dell’aiuto

Gli interventi hanno avuto un filo conduttore chiaro: non esiste cooperazione autentica senza parità, ascolto e fiducia. Il professor Ruocco ha ricordato come il colonialismo, lungi dall’essere un capitolo chiuso, continui a condizionare i rapporti tra Nord e Sud del mondo. “Il mondo moderno nasce dal diritto di prendere risorse e manodopera a basso costo — ha detto — ma possiamo immaginare un nuovo paradigma fondato sul reciproco apprendimento, sull’ecologia e sulla felicità condivisa?”

Nel suo intervento, Mario Giro ha posto l’accento sui giovani africani, spesso abbandonati sia dai propri governi sia dall’Occidente, ma desiderosi di ritagliarsi un ruolo nel mondo e nelle arene decisionali. “Il primo passo verso la decolonizzazione è l’amicizia”, ha affermato, sottolineando l’importanza del riconoscimento reciproco come base per ogni relazione di cooperazione. Dello stesso avviso Ivana Borsotto, presidente Focsiv, che ha ricordato le parole del presidente dell’Unione Africana in Parlamento: “Non siamo noi ad avere bisogno dell’Europa, ma è l’Europa che ha bisogno dell’Africa.”
Un mònito a ripensare il concetto di interdipendenza economica e sociale in chiave di reciprocità e giustizia globale, in un momento in cui instabilità e crisi demografica affliggono – e affliggeranno sempre di più – i Paesi occidentali.

Una voce dal campo arriva dalla Tanzania, con la condivisione del video registrato da Valentina De Cao, rappresentante Paese di COMSOL, che spiega come la lingua e la conoscenza della cultura locale siano diventati per lei strumenti per costruire ponti autentici. “La fiducia è il vero cardine della decolonizzazione — ha detto — solo riconoscendo la capacità altrui possiamo superare i nostri preconcetti.” Un discorso che si è intrecciato con il concetto di partnership autentica, fondata sulla capacità di mettersi in discussione e riconoscere le asimmetrie di potere: solo creando le condizioni per una reale ownership – la possibilità per le comunità locali di controllare il proprio destino – sarà possibile parlare di cooperazione giusta.

Una nuova visione condivisa per superare le logiche di dominio

Chukuana — come ricordato dagli organizzatori — non è solo una parola, ma un modo di stare al mondo. È il principio su cui fondare una cooperazione capace di superare le logiche di dominio e costruire relazioni fondate sulla fiducia, sulla reciprocità e sulla dignità condivisa.

Negli ultimi anni, la cooperazione internazionale si è evoluta: non si tratta più soltanto di “aiutare i Paesi poveri”, ma di costruire insieme soluzioni globali a problemi globali, come i cambiamenti climatici, le disuguaglianze economiche o le migrazioni forzate. In questo senso, ogni progetto diventa parte di un impegno collettivo per un mondo più equo.

Il percorso di decolonizzazione della cooperazione invita a porsi alcune domande:

stiamo davvero ascoltando le comunità con cui lavoriamo, o imponiamo soluzioni pensate altrove? Le risorse e le competenze circolano in entrambe le direzioni? Cosa possiamo imparare dai saperi locali, dai giovani africani e dalle esperienze del Sud globale?

Riflettere su questi temi significa riconoscere che la cooperazione non è un atto di carità, ma una forma di giustizia. Significa accettare che ogni paese, ogni comunità, ha qualcosa da insegnare e qualcosa da ricevere.

ENGIM continuerà a promuovere questi momenti di riflessione e confronto, perché crediamo che solo una cooperazione libera da ogni forma di colonizzazione possa generare un vero cambiamento, umano e globale.

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