TESTIMONI DI SERVIZIO CIVILE: LA STORIA DI CRISTINA
“De según como se mira, todo depende” di Cristina Taglialatela, Ibarra (Ecuador)
“De según como se mira, todo depende”, come cantava Jarabe de Palo, sono le parole che più mi risuonano da quando, due mesi fa, sono atterrata in Ecuador.
Solo due mesi: giusto il tempo di smontare qualche certezza, cambiare prospettive di vita, mettere da parte i pregiudizi e restare ad osservare. Osservo, ad esempio, come il mio corpo cambia e si adatta ad un clima diverso: qui non ci sono le classiche quattro stagioni, ma solo quella secca e quella delle piogge, il sole tramonta sempre alle 18 sotto il parallelo 0°0′0″. Contemporaneamente, la mia mente inizia a guardare il mondo con occhi differenti, a pensare in un’altra lingua, tanto che in automatico saluto tutti con un “muy buen día señora, que tenga un lindo dia”. Mi immergo nelle strade, tra gli sguardi interrogativi delle persone che ti fanno sentire una straniera e che, allo stesso tempo, ti accolgono con un sorriso, tra i profumi di cannella, empanadas, avocado, riso, patate e pollo, tutto rigorosamente fritto, mentre l’aria si mescola con lo smog dei bus e il suono del reggaeton e della salsa che rimbomba ovunque, persino nelle farmacie.
Solo due mesi per re-imparare a condividere una casa con persone che fino al giorno prima erano perfette sconosciute, e che ora stanno diventando famiglia. Con loro condivido giorni di oscurità, non solo metaforicamente, ma anche a causa delle frequenti interruzioni di corrente delle ultime settimane che continueranno ancora per un po' di tempo, frutto di una crisi energetica che riflette problemi più gravi in un paese già instabile.
Ibarra
Ci troviamo a Ibarra, una città situata ai piedi di tre montagne maestose: l’Imbabura, che dà il nome alla provincia, il Cotacachi e il Cayambe, quest'ultimo innevato. Ogni mattina le salutiamo, lasciandoci ispirare dalla loro imponenza, pronte ad affrontare la giornata con energia positiva.
A due ore dalla capitale Quito e a due ore dalla frontiera con la Colombia, Ibarra è una città di passaggio, un crocevia per i migranti che continuano il loro viaggio per chi fugge dall’instabilità politica ed economica della Colombia e del Venezuela. Tuttavia, negli ultimi anni, sempre più persone hanno deciso di fermarsi qui, trasformandola in una nuova casa, con un impatto evidente sul tessuto sociale locale.
“Diritti rispettati, persone protette”: il mio servizio presso NRC
Il lavoro del Consejo Noruego para Refugiados non si basa tanto sull’assistenzialismo puro ma piuttosto sul rafforzamento delle persone migranti, affinché possano riappropriarsi dei loro diritti. Lavoriamo per sensibilizzare e informare i migranti, affinché acquisiscano consapevolezza della loro condizione di soggetti di diritto e possano vivere in sicurezza in Ecuador. Spesso, le persone migranti non hanno la consapevolezza di essere sopravvissute a situazioni di violenza e non riescono a riconoscere un atto violento, se la violenza è sempre stata la norma. Per questo, è fondamentale far capire loro che non è giusto ciò che hanno subito e che i diritti appartengono a tutti, indipendentemente dal tipo di documento che si possiede.
Libertà di movimento
La questione delle frontiere e della libertà di movimento è sempre più complessa così in Ecuador come nel resto del mondo. In particolare, per la popolazione venezuelana diventa sempre più difficile ottenere un visto. Dal 2019, infatti, l'Ecuador ha introdotto l’obbligo del visto per le persone di nazionalità venezuelana che vogliono entrare nel paese. Ottenere un visto è molto difficile, costoso e poco accessibile per la popolazione di un paese che sta affrontando una grave crisi politica, economica e sociale. Di conseguenza, molte persone che non possiedono un visto si ritrovano in un limbo di incertezza e frustrazione: non possono accedere a forme di protezione e/o di regolarizzazione, poiché la "sola" crisi economica non è considerata un motivo valido per lasciare il proprio paese in cerca di una vita migliore o di maggiore sicurezza ed ottenere protezione. Inoltre, dopo il 2022, con l’apertura di un processo di regolarizzazione eccezionale ed umanitaria, chiamato Visa VIRTE che si è concluso nell’ aprile del 2024, non ci sono, in Ecuador, altre forme di regolarizzazione per la popolazione venezuelana. Allo stesso tempo, data la situazione nel paese, le persone non possono tornare indietro. Senza alcun riconoscimento legale, i migranti si ritrovano in una condizione di vulnerabilità, esposti a forme di discriminazione, sfruttamento e violenza.
Per capire meglio la situazione che attraversa il Venezuela
Il Venezuela, un tempo una delle nazioni più ricche del Sudamerica grazie alle enormi riserve di petrolio, è oggi uno degli stati più poveri.
Dopo il 28 luglio 2024, data che ha coinciso con il nostro arrivo a Ibarra, la crisi venezuelana è entrata in un vicolo cieco, sconosciuto persino ai suoi cittadini. Una settimana dopo le elezioni presidenziali, l'assenza di risultati ufficiali verificabili ha alimentato sospetti di frode, portando il governo a mostrare il suo volto più repressivo. La polizia e i servizi di intelligence hanno avviato una vera e propria caccia all'uomo, denominata "Operación Tun Tun", con l'obiettivo di arrestare oppositori politici e manifestanti direttamente nelle loro case. Il terrore si è diffuso anche sui social media, dove i cittadini hanno iniziato a cambiare le loro foto di profilo e a cancellare vecchi messaggi critici (https://www.bbc.com/mundo/articles/cly33kp1q19o).
Da quando Nicolás Maduro ha assunto il potere nel 2013, la situazione socio-economica del Venezuela è crollata. La caduta del prezzo del petrolio – principale risorsa economica del paese – ha devastato il potere d'acquisto delle famiglie. Il settore energetico è stato inoltre colpito dalle sanzioni USA, rimosse solo brevemente lo scorso ottobre in cambio della promessa di elezioni regolari. Molti venezuelani vivono con salari inferiori ai 200 dollari, mentre il costo della vita è quasi il doppio. (https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/il-venezuela-diviso-in-due-182084)
Attualmente, circa 7,6 milioni di venezuelani hanno bisogno di aiuti umanitari, non hanno accesso a cibo sufficiente o a cure mediche adeguate (https://www.intersos.org/venezuela-cosa-serve-nelle-aree-remote-e-di-confine/). La crisi economica ha distrutto le infrastrutture sanitarie e ridotto l’accesso ai servizi essenziali. Circa 4,3 milioni di persone faticano a trovare acqua potabile e servizi igienici, persino nelle scuole e negli ospedali. Il sistema scolastico, ormai al collasso, lascia fuori dalle aule circa 900.000 bambini, mentre 1,3 milioni sono a rischio di abbandono scolastico (https://www.intersos.org/venezuela-cosa-serve-nelle-aree-remote-e-di-confine/). La mancanza di accesso all’istruzione espone i giovani a rischi di violenza, sfruttamento, lavoro minorile e tratta di esseri umani.
La situazione economica è altrettanto grave. Dal 2022 al 2023, il costo dei beni alimentari di base è aumentato del 350%, aggravando l'insicurezza alimentare. Secondo la Rete dei sistemi di allerta precoce per la carestia (FEWS NET), entro il 2024 circa 2 milioni di venezuelani potrebbero trovarsi in condizioni di crisi alimentare. Molti, costretti dalla povertà, ricorrono a strategie di sopravvivenza dannose, come il lavoro minorile o il lavoro sessuale. (https://www.intersos.org/venezuela-cosa-serve-nelle-aree-remote-e-di-confine/).
La crisi migratoria
La crisi migratoria che ne è scaturita è la più grande nella storia dell'America Latina. Oltre 7,7 milioni di venezuelani hanno lasciato il paese, cercando rifugio principalmente in altre nazioni latinoamericane e caraibiche. Tuttavia, anche nei paesi ospitanti molti venezuelani faticano a trovare alloggi stabili e lavori sicuri. Alcuni scelgono di migrare ancora verso nuove destinazioni, altri tornano in Venezuela in cerca di migliori opportunità, mentre molti vivono in un costante pendolarismo tra il paese natale e le nazioni vicine (https://www.intersos.org/venezuela-cosa-serve-nelle-aree-remote-e-di-confine/).
Mi ritrovo spesso a riflettere sul privilegio di avere un passaporto che mi consente di muovermi liberamente, di avere diritti garantiti, di poter cercare nuove opportunità di lavoro e di vita. Molti migranti non hanno questa possibilità, e questa consapevolezza mi ha sempre spinto a impegnarmi in esperienze lavorative e di volontariato, come questa che sto vivendo grazie al servizio civile, volte a promuovere il riconoscimento del diritto di migrare per tutti e di protezione per i più vulnerabili.