TESTIMONI DI SERVIZIO CIVILE: LA STORIA DI DANIELA
‘’Documenti negati, speranze resistenti’’ di Daniela Serafino, Servizio Civile Universale – Ibarra (Ecuador)
Ci troviamo nell'Unidad Educativa Capitán Cristóbal de Troya insieme ad ACNUR per realizzare attività di sensibilizzazione sulla prevenzione della violenza di genere con le ragazze e i ragazzi più grandi.
Quando stiamo per andarcene, mi si avvicina un ragazzo, visibilmente più grande degli altri. Mi ricordo di lui: sta frequentando l’ultimo anno prima del diploma.
“Ciao, parli spagnolo?”
“Sì, lo parlo. Hai bisogno di qualcosa?”
“Vorrei farti una domanda. Quest’anno mi diplomo e vorrei iscrivermi all’università il prossimo anno. Mi hanno detto che per farlo devo ottenere il diploma ma, essendo senza documenti, non posso richiederlo. Cosa posso fare?”
“Non ti preoccupare, sono qui con Rommel che lavora per ACNUR. Chiediamo a lui come puoi procedere.”
Ci avviciniamo a Rommel e inizio a spiegargli la situazione. Rommel risponde: “Il diploma ti spetta di diritto anche se non hai documenti. Tuttavia, per poter iscriverti all'Università ti servono effettivamente i documenti e regolarizzare la tua situazione al momento potrebbe essere più complicato. Di che nazionalità sei?”
“Venezuelano.”
Silenzio.
“Purtroppo, al momento lo Stato ecuadoriano ha eliminato la possibilità di regolarizzarsi tramite la Visa “Virte II”. Attualmente, per i venezuelani non ci sono altre opzioni per ottenere i documenti. Potresti fare domanda di protezione internazionale, ma tutte le richieste presentate da migranti venezuelani vengono giudicate inammissibili. Al momento, l'unica cosa che puoi fare è attendere che vengano promulgate nuove disposizioni legislative di regolarizzazione ma, vista la situazione politica attuale, potrebbero volerci mesi o anni.”
“Quindi non posso iscrivermi all’università?”
“Allo stato attuale, no.”
“Potrò almeno lavorare?”
“Sì, puoi lavorare.”
“Grazie per l’aiuto, a presto.”
Rommel sospira e sussurra: “Stiamo attraversando un periodo molto difficile e le prospettive future non sono positive, soprattutto in vista delle imminenti elezioni.”
Jesús ha 19 anni. Come tanti giovani venezuelani, è arrivato in Ecuador da tempo e studia alla Unidad Educativa Capitán Cristóbal de Troya, nel quartiere Pugacho di Ibarra. Ha sogni, ambizioni e un progetto di vita. Tutto ciò che gli manca sono i documenti. Senza quei fogli di carta, Jesús non ha pieni diritti in Ecuador: non può proseguire gli studi né accedere a molti servizi fondamentali.
Ottenere i documenti per le famiglie venezuelane non è mai stato facile. La protezione internazionale viene concessa raramente e, l'unica altra fonte di regolarizzazione – la Visa “Virte II” – è stata eliminata dall'attuale presidente Daniel Noboa.
Il destino di molti venezuelani è segnato: confinati nei quartieri più periferici di Ibarra, dove gli affitti costano meno e la discriminazione si fa un po’ meno aggressiva, ma è comunque presente. Uno di questi quartieri è proprio Pugacho, dove quest’anno Fudela avvierà il progetto “Territorios de Esperanza”.
L’obiettivo di “Territorios de Esperanza” è quello di inserirsi nel tessuto del quartiere di Pugacho, considerato una “zona rossa” di Ibarra. Attraverso alcuni laboratori avviati nella scuola del quartiere, da gennaio abbiamo iniziato a conoscere il preside dell'Unità educativa, i professori, gli e le alunne e pian piano anche le famiglie, molte delle quali venezuelane. A piccoli passi ci siamo, inoltre, avvicinati agli attori principali: dal presidente del barrio, al leader del “Centro de Salud”, all’ufficiale di polizia attivo nella zona, fino ad arrivare alle figure più informali come i negozianti o i membri della cooperativa di taxi non ufficiali gestita dal fratello del Presidente del barrio.
Così abbiamo cominciato a mappare il quartiere, a conoscere le sue dinamiche, le ore in cui è più sicuro muoversi, le vie più tranquille, quelle più pericolose, e soprattutto le persone che possono diventare alleate nel processo di costruzione di una rete comunitaria. L’intento è creare una rete di supporto attraverso riunioni comunitarie, “mingas” collettive, gruppi di supporto per donne e attività educative per bambini e bambine. L’obiettivo finale è favorire un’inclusione socio-educativa sostenibile, formando leader locali affinché possano continuare questo percorso anche dopo la fine del nostro intervento e, soprattutto, permettere alle persone che vivono nel barrio di Pugacho di riprendere possesso del proprio quartiere, dei parchi, dei campetti ormai diventati insicuri per la frequente presenza di persone in stato di ebbrezza, ladri e – anche se non confermato da fondi ufficiali – presenza di piccole bande armate.
Questo progetto non fornirà a Jesús i documenti di cui ha bisogno per iscriversi all’università, né li darà alle centinaia di famiglie venezuelane che vivono a Pugacho, molte delle quali lavorano come recicladores. Tuttavia, potrà forse contribuire a rendere questo contesto meno conflittuale, meno discriminatorio per chi, come Jesús, si trova a vivere ai margini. Potrà aiutare a costruire un senso di comunità, a generare legami, a rendere il quartiere un luogo più sicuro e accogliente.
Soprattutto, potrà contribuire a innescare un processo di empowerment comunitario insieme ai veri protagonisti di questo processo: bambine e bambini, ragazze e ragazzi, famiglie e tutte le persone che, ogni giorno, abitano, lavorano e vivono questo territorio.
Negli ultimi mesi, il lavoro nel sociale è diventato in Ecuador, come in tutto il mondo, particolarmente complicato. La cooperazione internazionale e gli aiuti umanitari vengono sempre più messi in secondo piano rispetto a interessi economici e discorsi guerrafondai. Questo progetto di Fudela è finanziato interamente dai fondi dell’ACNUR, anch'essa in seria difficoltà a causa degli ingenti tagli dovuti alle politiche dell’attuale amministrazione statunitense. Come conseguenza di quest'ultimi, molte ONG e organizzazioni locali, attive da anni nel cantone di Ibarra, hanno dovuto ridimensionare o interrompere del tutto i loro programmi (se non addirittura chiudere direttamente gli uffici e le sedi).
Noi di Fudela ci troviamo sempre più spesso di fronte a domande a cui non possiamo dare una risposta certa, come quella di Jesús. Ed è proprio per questo che i progetti che riusciamo ancora a portare avanti, pur nella loro imperfezione, seppure con pochi fondi a disposizione, assumono un valore ancora più grande: quello di continuare a intervenire e a far capire che fino all'ultimo qualcuno che non rimane indifferente esiste e che cambiare rotta é ancora possibile.