TESTIMONI DI SERVIZIO CIVILE: LA STORIA DI FEDERICA
‘’A Fier per scelta’’, di Federica Silvestre, Servizio Civile Universale, Albania (Fier)
Ho atteso la mia partenza con tanta ansia, ma di quelle positive che ti caricano a mille. Avevo voglia di intraprendere questo percorso da tempo ed è arrivato nel momento giusto, forse per l’opinione di molti un po’ tardi essendo al limite con l’età, ma non avrei saputo scegliere il momento migliore. Il servizio civile non è una passeggiata, ci vuole coraggio a rinunciare a molte delle proprie abitudini e ad allontanarsi dai più cari; ci vuole tanto equilibrio e stabilità per mettersi in discussione giorno per giorno. La mia breve esperienza mi ha insegnato proprio questo: è una costante lotta con se stessi e con i propri limiti, è scoprire ogni giorno che puoi superarli o sbatterci la testa contro fino a capire che era solo una delle tante barriere.
Le aspettative erano tante, così come i timori: avere a che fare con una cultura nuova e affrontare quotidianamente la difficoltà di provare a comunicare in una lingua complessa e distante da quelle apprese sinora non è uno sforzo da poco. Spesso si sottovalutano i paesi a noi più vicini, si pensa che per poter fare del bene bisogni superare l’oceano, quando un solo traghetto è sufficiente per raggiungere un posto che ha ancora tanto bisogno del nostro supporto. Ed è da qui che parte la mia curiosità per l’Albania e per la città di Fier, che gli stessi albanesi amano ben poco, ma entrare a far parte della sua realtà e quotidianità può insegnare più di quanto si possa immaginare.
In effetti Fier, situata nel rinomato sud del paese, non si distingue per essere una delle città più belle, eppure anch’essa ha delle qualità nascoste, che risiedono soprattutto nella popolazione che la abita. Gli albanesi a primo impatto sono schivi e scontrosi, ma basta ben poco per conquistare la loro simpatia, anche solo mostrandosi interessati alla loro realtà o sforzandosi a comunicare con loro, sfoggiando le poche parole apprese nei primi tempi.
I fierakë hanno tanto da insegnare, coi loro ritmi lavorativi instancabili, il dividersi tra più lavori per sopravvivere ad un costo della vita che non è così basso come spesso si vuole far credere. Non nego di avere difficoltà nel sentirmi costantemente privilegiata e nello spiegare il mio ruolo in questo posto, che spesso stranisce chiunque provi a capirlo. Loro, che sono abituati a lasciare a malincuore il loro paese in cerca di un lavoro stabile, si imbattono in un gruppetto di ragazzi che giunge nella loro città per “lavorare” e che lascia l’Italia a cui spesso ambiscono per cambiare vita. Ormai ci riconoscono in molti nel quartiere, abbiamo i nostri negozi di fiducia dove ci accolgono sempre col sorriso, in cui gli albanesi stessi cercano di aiutarci con l’italiano che hanno appreso dalla televisione. I sabati mattina al mercato Rom sono diventanti una ricorrenza e sono stati necessari per entrare in contatto con la comunità per cui svolgiamo la maggior parte delle nostre attività.
Parte delle mie giornate si svolgono nella scuola di Zhupan, situata nella periferia di Fier e vicino al villaggio di Drizë, che si distingue per essere uno dei principali villaggi Rom della città. A differenza del nostro paese, qui i Rom sono una parte fondamentale della comunità, svolgono i lavori più disparati e sono a stretto contatto con gli albanesi, ma non mancano episodi di discriminazione, come ho potuto notare nelle giornate trascorse con loro tra i banchi di scuola. Il mio contributo, assieme a quello dei miei compagni di viaggio, consiste nel fornire supporto alle maestre, soprattutto nella gestione dei bambini Rom. Spesso le loro conoscenze non corrispondono al livello del resto della classe e l’insegnamento varia da bambino a bambino, da quelli che non hanno mai frequentato la scuola, pur avendo dieci anni, a quelli che invece riescono a seguire il programma.
La nostra presenza è fondamentale affinché loro non si sentano abbandonati e le maestre riescano a procedere più velocemente con le lezioni. È una sfida quotidiana, poiché le dinamiche possono variare ogni giorno. In molti non frequentano assiduamente la scuola, o sono troppo energici per passare qualche ora dietro ai banchi. Ma sono anche desiderosi di imparare e di mostrare fieri i risultati raggiunti, e questo è un successo per loro ma anche un’immensa gratitudine per chi prova anche con poco a sperare che la sua presenza posso cambiare il loro modo di vedere la scuola, o quantomeno farli sentire più inclusi stando al passo con gli altri. Credevo di non esserne all’altezza, di non poterli capire abbastanza, che l’esperienza precedente non sarebbe stata sufficiente per potergli rendere una giornata di scuola più semplice. Ma sono loro stessi, i loro sguardi, i sorrisi, il prenderti la mano, gli abbracci alle spalle, il loro chiederti aiuto che mi confermano di essere nel posto giusto. Il nostro è uno scambio reciproco, anche se impari, perché loro, per quanto piccoli, mi stanno insegnando più di quanto mi aspettassi.
Le energie con cui affrontano qualsiasi giornata sono sorprendenti, nonostante si trovino di fronte a numerose difficoltà legate spesso al confronto con gli altri, non solo con gli albanesi, ma anche con i membri della loro stessa comunità. Questo costituisce però anche una delle cause per cui tendono ad allontanarsi dalla scuola. In molti, tra maestre e operatori locali, ci stanno mettendo in guardia sulla possibilità che la loro presenza possa diminuire nei prossimi mesi e sicuramente sarà una nuova prova da affrontare. Il timore che gli sforzi fatti insieme finora siano stati vani è dietro l’angolo. Per questo è importante lavorare tanto sulla loro integrazione e spero che in un qualche modo il mio e il nostro contributo possa lasciare un segno, anche se minimo.
Le nostre ore di servizio sono dedicate anche ad un’altra scuola, situata all’interno della città e che costituisce un punto di riferimento per molte famiglie, ovvero il Qendra Horizont. Si tratta di una scuola dedicata esclusivamente a bambini con disabilità, finanziata attualmente dal comune e nata in un progetto che vede la collaborazione di Engim con quest’ultimo. I bambini dell’Horizont sono fortemente seguiti dai loro insegnanti e apparentemente non necessitano di grandissimo aiuto da parte nostra, eppure sono desiderosi di averci in classe con loro. Iniziano a riconoscerci e a ricordarsi i nostri nomi per quanto possibile. Avevo inizialmente sottovalutato il mio contributo in questo progetto, ma sono bastati pochi giorni di attività per farmi ricredere. Questi ragazzi hanno bisogno di un contatto con l’esterno, di incontrare persone nuove e la loro curiosità è tangibile, così come il desiderio di condividere delle esperienze insieme. I momenti in cui mi sento maggiormente coinvolta e più vicina a loro sono le partite di calcio che improvvisiamo allo stadio ed è bello vederli felici di averci nella loro squadra. Non vedo l’ora di poter approfondire la loro conoscenza e poter comprendere meglio i loro bisogni. Il Qendra Horizont costituisce una grande possibilità in un paese che fatica a gestire la disabilità, ma i passi da fare in avanti sono ancora tanti.
Concludo ricollegandomi al titolo scelto per la mia prima testimonianza. Sin dall’inizio sono stata convinta della mia candidatura, io Fier l’ho scelta e l’ho cercata. Non nego di avere avuto dei dubbi quando in formazione ho scoperto di essere stata l’unica ad averlo fatto: la maggior parte delle scelte erano ricadute sull’America Latina e a tratti ho pensato di essere stata superficiale e che avrei dovuto riflettere di più sulla mia destinazione. Ma a quasi tre mesi dal mio arrivo posso dire di aver fatto bene ad aver dato ascolto al mio intuito e di ritenermi soddisfatta di essere rimasta fedele alla mia decisione. Qui mi sento bene, anche se tra alti e bassi che definirei più che normali in un’esperienza simile, sento di essere nel posto giusto.