TESTIMONI DI SERVIZIO CIVILE: LA STORIA DI GIULIA
”Andare, Tornare”, di Giulia Zoratti, Medellin (Colombia)
Si te digo que ya no me quedo
Lo meditas sin afán
Volvemos al comienzo
Sin esperar,
Siendo no más.
Siendo no más – Las Añez
Negli ultimi mesi sono rimasta la maggior parte del tempo a Medellín: niente scampagnate solitarie ad esplorare i fiumi e le pozze dell’Oriente antioqueño, niente notti insonni negli autobus per approfittare fino all’ultimo secondo del fine settimana lungo o del giorno festivo.
Il tutto, a pensarci bene, è estremamente relativo: ho fatto due viaggi, rispettivamente di due e una settimana, che mi hanno portata letteralmente da un lato all’altro del Paese, qualcosa che io ormai do un po’ per scontato, ma che per i miei amici e amiche di qui è inimmaginabile. E già questo potrebbe essere tema di profonde ed ampie riflessioni.
Però in questa testimonianza non voglio parlare di panorami incredibili, natura rigogliosa e festività popolari, né lambiccarmi il cervello rispetto all’ iniqua distribuzione di ricchezze e privilegi. Vorrei raccontare ciò che sta significando per me accettare e vivere una dimensione più quotidiana, una dimensione più pacata, più “normale”, che non rincorre tutte le opportunità e tutte le esperienze, che non si mantiene sempre nelle frequenze più alte ed intense: una dimensione più “normale”, per quanto la normalità non esista.
In questi ultimi mesi ho passato molto tempo in case, case di persone care, cucinando, suonando, compartiendo, vivendo. Senza quest’ansia di dover per forza esplorare posti nuovi, senza questa pressione di dover “fare”, semplicemente mi sono concessa di “essere”. Potrà sembrare ovvio e scontato, ma per me non lo è affatto, e lo considero un segnale del fatto che inizio a sentirmi davvero a casa qui, che non vivo in questo stato di YOLO (You Only Live Once) perenne che accompagna spesso e volentieri la dimensione del viaggio, la breve durata, l’attimo fuggente, “l’ora o mai più”, “il tutto e subito”. Sento che non ho più fretta di divorarmi la Colombia in un sol boccone, perché è diventata un banchetto infinito di un grande matrimonio: mille portate, una diversa dall’altra, abbondanti e, c’è da ammetterlo, impegnative: c’è bisogno di una pausa tra un primo e l’altro, una pennica tra i primi e i secondi, un respiro profondo e un momento solitario prima dei balli scatenati della notte.
E sento che la mia relazione con la Colombia si sta costruendo in questo modo: vado, ma poi torno. E poi vado di nuovo, e torno. Resto per periodi sempre più lunghi, intreccio amicizie sempre più profonde. I legami e i vincoli si danno non solo e non tanto nella presenza costante, ma nella discontinua continuità, nella nostalgia, nell’aspettativa, nel salutarsi e ritrovarsi cambiate ma ancora lì per l’altra dopo anni.
Non è facile, richiede impegno, energie, vuol dire “vivere a metà”: un po’ qui, un po’ là, con amicizie sparpagliate in giro per il mondo, la famiglia che ormai ha perso la speranza perfino che tu torni a Natale. Spaventa: ti abita sempre la paura di perderti dei pezzi per strada, una persona cara, un evento indimenticabile, un ricordo soffocato dalle mille novità, un luogo che è scomparso e che non hai avuto modo di salutare. Ma non sono un monolite, e sto scoprendo che per essere felice la mia stabilità non può essere statica, non può ridursi ad un permanere costante in un luogo, in un gruppo, in delle dinamiche rutinarie.
Ieri mi è arrivata la mail con il biglietto aereo per il ritorno in Italia. Non sono ancora riuscita a decifrare cosa sento a riguardo; so che mi sono messa a piangere. Sono felice di tornare a casa. È ancora casa un luogo dove non c’è una casa fisica che senti tua ad aspettarti, se sto tornando a metà, se sto tornando non per tornare “davvero”? Spero di sì, credo che lo scoprirò solo lì. Sono triste di andarmene da …. Casa? È già casa un luogo dove non c’è una casa fisica che tu possa considerare tua perché sì o sì la abiti per un periodo di tempo limitato, se non sei nata e cresciuta lì e appena appena inizi a capirne alcune dinamiche, a conoscerne parte della realtà? Me ne vado per un periodo indefinito che ai miei occhi e al mio cuore sembra parecchio lungo; soprattutto, per un periodo dal ritorno incerto, un ritorno senza punti fermi, un ritorno basato, finalmente, sull’ascolto e l’accettazione di un mio desiderio profondo, un ritorno basato sulle amicizie, queste amicizie che continuano a sbocciare e fiorire inaspettatamente, che hanno ormai creato attorno a me un bosco biodiverso, fitto, fresco, in cui non c’è il rischio di perdersi, perché mille duendes ti accompagnano sempre nel cammino.
Sarà difficile andare, sarà difficile tornare. E dall’Italia, lo stesso, sarà difficile tornare, sarà difficile andarsene. Però in questo via vai continuo, che si dà dei respiri sempre più ampi, dei tempi sempre più lenti e sfilacciati, si costruisce a poco a poco una sensazione di casa, di molte case, si costruisce una vita.