TESTIMONI DI SERVIZIO CIVILE: LA STORIA DI LAURA
“La nostra lotta quotidiana è nelle aule, insieme ai bambini”, di Laura Grimozzi, Servizio Civile Universale, Quito (Ecuador)
Non c’è dubbio: Quito è una città, per me, tanto bella quanto complessa e pericolosa, eppure, il posto in cui la me del passato ha saggiamente e fortunatamente scelto di buttarsi è stato in grado di darmi subito coraggio. Sto parlando della scuola “Yachay Wasi”: un piccolo spazio sicuro, libero e potente nella periferia della capitale, che regala ai bambini un’infanzia e un’educazione che non possono essere considerate solo un lusso, ma un dono prezioso e unico, tanto per loro quanto per noi volontari che ci lavoriamo.
Quando mi chiedono come sia vivere qui, rispondo sempre che è intenso. Intense sono le giornate che iniziano alle cinque del mattino, intense le ore di lezione che svolgo quotidianamente, intensi i discorsi che si ascoltano ogni giorno nel contesto scolastico, e intenso è questo Paese che non ha paura di lottare.
In questo momento siamo circondati da proteste: è cominciato quello che qui viene chiamato Paro Nacional, una forma di mobilitazione che consiste nel bloccare le strade delle città per giorni e notti a tempo indefinito. Questa volta (perché nel corso degli anni ce ne sono stati diversi, anche molto importanti) tutto è stato scatenato dall’aumento folle del prezzo del diesel, ma in pochissimo tempo la situazione è diventata molto più drammatica, fino ad arrivare a dover salutare cittadini arrestati e assassinati perché in protesta.
Non voglio scendere nei dettagli di tutto ciò, ma è chiaro che la vita qui in Ecuador non è semplice per tanti motivi. Per noi volontari significa sapere che ogni giorno potrebbe essere quello in cui veniamo derubati o che dopo le sei di sera camminare per strada non è più concesso a nessuno perché troppo pericoloso. Per gli ecuadoriani, però, la vita è decisamente più dura, soprattutto se si tratta di cittadini indigeni, meticci o neri.
La scuola “Yachay Wasi” è però un campo di battaglia diverso. È il campo di battaglia della “mashi” (compagna in Kichwa) “Ninari”, della “mashi Laurita”, del “mashi Fernando” che, dopo anni di lotte, hanno dato vita a questo spazio potente. Una scuola bilingue (Spagnolo e Kichwa), l’unica dichiaratamente antirazzista in tutta “l’Abya Yala” (l’America Latina) che oggi, sotto la direzione della “mashi Ninari”, svolge un lavoro di consapevolizzazione, sensibilizzazione ed educazione a tutto tondo dei bambini che crescono in questo angolo di paradiso. Attraverso rituali, discorsi, dinamiche mattutine e attività quotidiane, mostrano senza filtri la voglia di riscatto, la rabbia, la forza di un popolo, il popolo indigeno, che ha sofferto, che è stato messo da parte per troppo tempo, che ha paura ma sa riconoscerlo con coraggio, senza permettere a questa stessa paura di fermarlo. Non vogliono dimenticare e non vogliono essere dimenticati.
Non posso evitare di chiedermi, ogni giorno, come sarebbe stata la me del presente se avessi avuto la fortuna di crescere in una scuola con una pedagogia così rivoluzionaria, così come non posso evitare di domandarmi come saranno gli adulti del futuro, frutto di questo contesto scolastico. Qui crescono bambini che, se ti vedono piangere, corrono ad abbracciarti; che, se gli comunichi di essere stanca, ti costruiscono un letto di cuscini; che non sorridono se vedono un compagno cadere, ma si assicurano prontamente che tutto vada bene; e che, al tempo stesso, sanno riconoscere il patriarcato, il razzismo, l’oppressione e molto altro ancora. Non so quanti bambini tra i sei e i tredici anni nel mondo possano vantare una consapevolezza simile.
L’unica cosa che riesco ad aggiungere, per chiudere questa piccola testimonianza — troppo breve per trasmettere davvero quello che sto vivendo — è che sono infinitamente grata di avere questa seconda possibilità di imparare e reimparare ogni giorno accanto a loro.

