TESTIMONI DI SERVIZIO CIVILE: LA STORIA DI MATTEO
“Arrivi in Ecuador... e non sai più dove ti trovi”, di Matteo Anela, Nueva Loja (Ecuador)
Chiunque atterri all’aeroporto di Quito viene immediatamente accolto da un’incredibile vista delle Ande, con le cime innevate dei vulcani che svettano tutt’intorno. Ma se, come me, sei diretto alla città di Nueva Loja, più comunemente nota come Lago Agrio, noti che l’aperto paesaggio montuoso cambia rapidamente lungo il cammino: la neve si trasforma in pioggia, le cime delle montagne lasciano spazio alle cime degli alberi e improvvisamente non sei più sul tetto del mondo ma ti trovi inglobato in una distesa verde. Ovunque alberi, solo alberi e alberi che crescono su altri alberi. Impossibile vedere anche solo un pezzetto di terra. Sembra di stare in un altro paese rispetto a poche ore prima.
L’Ecuador mi si è presentato così, diviso tra foresta, montagne e costa è il Paese delle
contraddizioni. È impensabile, per esempio, immaginare il freddo della Sierra quando si sta sotto il sole cocente dell’Oriente; è assurdo che una natura tanto potente e rigogliosa subisca i danni di politiche ambientali che non la tutelano; fa strano ritrovare, in America Latina, un popolo che sa essere caloroso ma allo stesso tempo tanto diffidente.
A Lago Agrio, queste contraddizioni si vivono tutte: si vedono nella forte cementazione che la caratterizza, quando a pochi minuti di macchina la foresta si riprende prepotentemente lo spazio che le spetta; si percepiscono nel via vai delle persone nel centro, che lo affollano ma non lo occupano; si sentono sulla pelle madida per via dell’elevata umidità, quando poi basta una pioggia amazzonica per lavare via tutto.
Il progetto nel quale sono stato inserito mi ha permesso di avere direttamente a che fare con gli opposti di cui parlo. Un esempio è il fatto che l’Amazzonia, per antonomasia il posto ideale in cui far crescere una pianta, non è di per sé coltivabile. Forgiata da piogge torrenziali e un sole intenso, la sua vegetazione è forte, testarda, selvaggia e impietosa. Non è certo il luogo per mantenere un orto, eppure ci si prova, lavorando con le comunità locali e chi ha già esperienza in campo per capire quali tecniche sono adatte al contesto. A volte ci si riesce, a volte no e allora si studia un approccio diverso.
Un altro “opposto” che ho avuto il piacere di osservare di recente riguarda l’ambiente scolastico, ben diverso da urbano a rurale. In una scuola situata nel mezzo della foresta, lontana circa un’ora dal paese più vicino e in cui ci sono appena le mura per un’aula, una classe di bambini rappresenta una vera ricchezza. Quelli che si ricordavano della nostra visita precedente ci hanno accolti con una gioia contagiosa, e altrettanto contagioso è stato l’entusiasmo con cui richiamavano alla mente e raccontavano delle attività svolte insieme e di quanto gli fosse piaciuto il “pan con pollo” per merenda, il loro modo più didascalico di chiamare il tramezzino. Ecco, dunque, che da dove parrebbe troppo lontano, troppo isolato e di troppo poco conto arriva la dimostrazione che l’istruzione non ha bisogno di grandi strumenti per lasciare un segno, e qua è così che facciamo educazione ambientale: usando l’essenziale ma con tanta, tanta voglia di imparare.
Dedicare un anno della propria vita per mettersi al servizio di qualcosa al di fuori di sé stessi è già di per sé un’iniziativa forte, che richiede determinazione e, aggiungerei, anche un briciolo di incoscienza. Ma scegliere di svolgere servizio civile in un contesto come Lago, alza di molto l’asticella dei limiti e delle difficoltà da superare, più a livello personale che professionale, e questo non è necessariamente un aspetto negativo.
Io, Matteo, sono in Ecuador da circa due mesi e mezzo, vivo a Lago Agrio, realizzo orti e racconto ai bambini quanto è bello il mondo.